Che piacere leggere “Waldemar” che appagamento quando si ha a che fare con un’ opera che si presta a molteplici chiavi di lettura, animata d un meccanismo narrativo perfettamente oliato il cui funzionamento non attenua il gusto del lettore ma anzi lo amplifica. Biografia di un personaggio le cui passioni sono sempre eccessive (rispetto alla morale comune, all’ opportunità, a volte persino per l’ oggetto stesso del suo amore), omaggio all’ opera di Isherwood, una vicenda caratterizzata da andirivieni temporali mai casuali l’ opera risolve nel migliore dei modi il dibattito tra finzione, (auto)biografia, critica letteraria. Qui al centro di tutto c’è la forza di una narrazione trascinante che non solo coinvolge il lettore dall’ inizio alla fine ma lo spinge a andare oltre i confini della vicenda narrata per immaginare un seguito alle vicende dei personaggi. Che è ciò che si dovrebbe chiedere a un libro e “Waldemar” ci riesce in pieno.
Mentre elaboravo “Waldemar” e studiavo Isherwood, ho scritto e pubblicato il libro su Stephen King, quello su Paolo Sorrentino, i lavori (saggio, copioni teatrali, il dialogo “Intervista”) su Silone, e ho fatto la revisione e l’audiolibro del romanzo su Mignon. “Waldemar” per me è realmente il libro dei miei libri. Ci sono dentro tutti. C’è dentro tutto. Per questo (me ne rendo conto solo adesso mentre scrivo queste parole) è cosí importante per me.
sono ad un festival pianistico molto speciale, con interpreti molto speciali che presentano repertori rarissimi e bellissimi
il pubblico, molto educato, poi però tradisce la sua ovvietà, e si sentono giudizi dati solo per far sembrare di essere intenditori, portando argomentazioni fintamente competenti, in realtà basate su un vocabolario di parole tecniche usate in modo incongruo, tanto per darsi un tono
dei pianisti tutti si sentono in diritto di dire qualunque cosa
la bellezza viene cosí sciupata, e le preziosità cadono tra chi non ha i mezzi per percepirle, tantopiú se si conosce qualche formula per sentirsi capaci di giudicare
alla fine, l’incontro tra il concertista e il pubblico, e si può dire in generale tra il performer e il pubblico, è un rapporto di equivoci dettati da ruoli sociali in cui ciascuno cerca una propria affermazione, ma allo stesso tempo è l’unico momento possibile per la possibilità di realizzarsi del miracolo della condivisione di emozioni vere coniugate con la bellezza
condivisione che può avvenire solo tra artisti e individui nel pubblico che abbiano la forza emotiva, che diventa in questo anche etica, di superare gli schemi dei rapporti di potere segnati dall’autoaffermazione contro le proprie frustrazioni personali in un respiro liberato di verità e apertura al bello e all’altro
È morto Alain Delon, e la cosa ha generato subito discussioni, fino a far dire a molti che era un uomo molto discutibile e quindi, per motivi morali, un artista discutibile.
Rovesciamo il discorso: il pubblico.
Le persone del pubblico che vanno ai concerti, a teatro, al cinema, sono persone come tutte le altre: banali. Si infervorano sul momento per gli artisti che li coinvolgono e li commuovono o li esaltano, e con questo si mettono in contatto con le proprie emozioni piú belle e le liberano.
Gli artisti performativi sono i grimaldelli per liberare le emozioni delle persone che vanno a vederli. Quando i grimaldelli sono efficaci e le emozioni del pubblico si esprimono, nascono i bei momenti di spettacolo.
I grimaldelli sono efficaci solo se gli artisti che li rappresentano sono capaci di essere liberi con le proprie emozioni, di liberarle, e di farlo in modalità che abbiano a che fare con la bellezza, che possano essere riassunte nell’esclamazione “che bello!”.
A quel punto non esiste piú la banalità di nessuno: la bellezza messa in campo da artisti liberi nelle proprie emozioni e che sappiano come inventare bellezza libera le parti addormentate e segregate della cassiera, del commercialista, della dentista, dell’avvocato… tutte persone che nella propria vita non possono permettersi di vivere seguendo le proprie emozioni, e hanno bisogno di momenti per liberarle senza doversene vergognare.
Si, perchè le emozioni si liberano anche in modi di cui poi ci si vergogna: il sesso a pagamento, il gioco maniacale, le grandi abbuffate… invece, se si tratta di bellezza, di spettacoli che veicolino bellezza, ci si libera emotivamente con felicità e soddisfazione sociale: in modo socialmente gratificante.
Spesso gli stessi individui banali che godono della bellezza traggono godimento anche in attività oscure. Spesso quegli individui non sono neanche persone banali, ma sono ladri, truffatori, assassini, che poi, nei momenti di confronto con la bellezza, liberano solo le proprie emozioni piú belle, perchè le hanno anche loro.
Allora: un artista che aiuta il pubblico a liberare le sue emozioni piú belle è un artista che compie la sua funzione in modo egregio. Se come uomo o donna ha delle ombre, dei misteri, degli aspetti inconffesabili e additittura orribili, lo si giudica facilmente, perchè lo conoscono tutti, è una persona pubblica, e quindi esposta, per definizione. A giudicarla male, quando ne dá occasione, se ne trae una sensazione di superiorità da parte di chi lo guarda e continua a fare la sua vita banale, gli permette di alzare il ditino, offre occasione per una rivincita, sempre desiderata, di chi è banale (e lo resta) su chi è speciale (e lo resta).
A rigore, l’artista avrebbe tutto il diritto di dire ai tanti individui banali che lo applaudono, e appena possono lo giudicano: non avete il diritto di giudicarmi, non siete privi di ombre e vizi, siete anche criminali peggiori di me, avete il solo vantaggio di fare tutto di nascosto.
Si può mostrare carattere e avere dita che sanno correre producendo un bel suono. Bene.
Si può decidere, eseguendo un pezzo noto, che basti accentuare le due caratteristiche per poter fare qualcosa di interessante. No: non basta. Irritante.
Si può accettare la sfida di suonare un pezzo grande e difficile che non suona nessuno, e quindi, da una parte, esser liberi dal confronto e dalla necessità di fare qualcosa che “si noti”, e, dall’altra, utilizzare tutte le proprie risorse intellettuali, virtuosistiche, di ricerca creativa per inventare un’interpretazione che non esiste ancora. E vincere la sfida.
Si puó poi, nei bis, liberi, dare spazio a qualcosa di davvero personale e che si ama molto, come una propria composizione. Bisogna aver saputo comporre, prima, ovviamente, ma a questo punto del concerto tutto è stato già fatto, il contratto (con l’organizzazione e col pubblico) è stato onorato, e quindi si può anche pensare di esser da soli con la Musica e col Pianoforte.
La propria intimità con la Musica e col Pianoforte, si direbbe ora casualmente in pubblico, ma in realtà con la ricchezza dell’energia propria dell’essere in pubblico, di avere tanta gente attenta ad ascoltare, e che nutre la creatività dell’interprete, dopo aver suonato bene un programma molto impegnativo.
E arriva il miracolo. Quello che non si raggiunge ogni volta, quello che non è dato a tutti raggiungere.
Perchè bisogna avere davvero qualcosa di prezioso e di importante dentro di se’, altrimenti non succede proprio nulla.
Io ero nel pubblico, che ha percepito il miracolo. Qui, adesso, ne ho cercato le parole per dirlo e perchè ne resti l’eco.
Festival di Husum 2024, recital di Christian Grøevlen.
Battaglia vinta con energia, intendimento, gusto e inventiva riguardo alla sonata di Sinding op. 91: abbiamo un giovane uomo di carattere che suona il pianoforte davvero con gran classe, e che ha qualcosa di serio da dire.
Miracolo avvenuto con un pezzo da una sua opera lirica non ancora pubblicata dal titolo “Edda Gabler”.
Ho ringraziato di cuore il pianista per il dono ricevuto avendo partecipato al suo concerto. Non gli ho detto semplicemente che era bravo. L’ho ringraziato.