In attesa del Natale, un sermone del Pastore Emanuele Fiume

Francesco Bonelli in “Voltati Eugenio” di Luigi Comencini (1980)

Domenica 14 dicembre 2025, III di Avvento, festa dell’albero.
Matteo 18,1-6
In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù, dicendo: «Chi è dunque il più grande nel regno dei cieli?» Ed egli, chiamato a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità vi dico: se non cambiate e non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Chi pertanto si farà piccolo come questo bambino, sarà lui il più grande nel regno dei cieli. E chiunque riceve un bambino come questo nel nome mio, riceve me. Ma chi avrà scandalizzato uno di questi piccoli che credono in me, meglio per lui sarebbe che gli fosse appesa al collo una macina da mulino e fosse gettato in fondo al mare.

Ecco l’Avvento… i discepoli che si avventano su Gesù. Non come si sono avvicinati gli angeli, i Magi e i pastori, ma come ci avviciniamo noi, anche quest’anno, perché anche noi ci avviciniamo – o ci avventiamo – con la stessa noiosa e pestifera domanda dei discepoli: “Chi è il più grande?” Chi è più importante, chi è maggiore? Io o mio fratello? Io o lui? Io o la consuocera? Una persona come me si merita tanto in questi giorni di festa… Perché chi è più grande deve avere di più e vuole avere di più… Eh, questo non cambia. Non è l’Avvento ad essere sempre uguale, non sono il culto o il pranzo di Natale che non cambiano. Questo non cambia mai! Non cambia mai la nostra finta domanda di discepoli a Gesù: “Chi è il più grande?” E la risposta, la sappiamo tutti, siamo tutti d’accordo e la sanno anche gli asini? Chi è il più grande? IO! A questo avvento del peccato dei discepoli, del credersi chissà chi, del voler essere riconosciuti e onorati che è il classico peccato che si fa in chiesa, che è il peccato che ha generato il potere papale, il peccato che nasce e cresce qui… all’avvento secondo i discepoli con la loro domanda presuntuosa, Gesù risponde con mezzo presepe vivente del vero Natale: e allora cambia tutto, paf, mette lì in mezzo, al posto d’onore, un bambino. Ecco il vero presepe del vero Natale: tutti intorno al bambino!
Se non cambiate… dice Gesù. Perché a Natale cambia tutto. A Natale Dio Onnipotente è cambiato, perché è diventato bambino. Noi possiamo cambiare e diventare bambini per entrare nel suo regno. Se non guardiamo il mondo all’altezza di bambino, non vediamo Gesù e quindi non vediamo la porta del regno dei cieli.
Primo: Gesù mette il bambino in mezzo perché Dio stesso è diventato bambino. Non “uomo”, Gesù non è venuto al mondo già con la barba e i capelli lunghi, Gesù è nato esattamente come siamo nati tutti noi e tutti i nostri figli. E i bambini all’epoca non contavano nulla, scorrazzavano nei villaggi fino a dieci anni, poi imparavano a malapena a leggere (ma spesso era meno fatica mandarla a memoria), a leggere il primo capitolo della Bibbia, così facevano la loro Confermazione e restavano con questo livello di istruzione tutta la vita. Restavano bambini. Per questo il lettore della sinagoga e i farisei e gli scribi erano tanto considerati, perché sapevano leggere e interpretare le Scritture, cioè la legge. L’avvocato per tutti. Il bambino era l’umile, il minimo per eccellenza, tanto che in alcuni dialetti sono compresi in un indistinto plurale collettivo: “li meinà” in occitano, “la mularìa” in triestino, “ na’ pipinara” in romanesco. Il minimo, proprio quello in cui alla fine dei tempi, nel giorno del giudizio, Gesù Cristo riconoscerà te persino anche se tu non hai riconosciuto lui. Matteo 25: Signore, quando mai ti abbiamo visto e abbiamo fatto? In verità, quello che avete fatto a questi minimi, l’avete fatto a me. E questi se ne andranno a vita eterna” Questi, che non si sono interessati a Gesù in persona, ma ai minimi nei quali e solo nei quali c’era Gesù, che li ha acchiappati. Questa è l’incarnazione, da prima del concepimento quando Maria canta il Magnificat, e canta il rovesciamento, il sottosopra non sociale, ma generale, globale, fino al giorno del giudizio, in cui il criterio della tua salvezza, il terreno in cui Gesù ti ha preso non è il tuo essere superbo coi superbi, massimo coi massimi (e men che meno l’essere superbo con gli umili), ma il tuo saper essere minimo coi minimi perché Gesù viene al mondo minimo, neonato, bisognoso e dipendente di tutto come siamo stati noi e come sono stati i nostri figli. Gesù è nella mangiatoia, e se non abbassi umilmente lo sguardo, non lo vedrai mai.
Secondo: se Dio Onnipotente si è rivelato, si è incarnato, si è fatto bambino in Cristo, in Cristo possiamo cambiare e diventare bambini anche noi. Non restare bambini, cioè non essere infantili. La persona infantile vede il mondo in bianco e nero, giusto e sbagliato, buono e cattivo… a parte le sue cose che vede tutte belle colorate, a partire dal contenuto del proprio portafogli. Perché l’avaro è un infantile, un grande infantile, un grande irrisolto. Allora, non è questo, non restare
bambini, ma non è nemmeno tornare bambini, cioè rimbambire, ridiventare capricciosi, fissati, abitudinari, mentalmente pigri, egoisti come eravamo da bambini e siamo stati corretti dai nostri genitori o dalle sberle che abbiamo preso nella vita. No, non dobbiamo tornare bambini. Dobbiamo diventare bambini. Siamo vecchi e dobbiamo diventare bambini. E come? Qui si possono dire tante cose, sul fondamento dell’essere minimi, non importanti, dipendenti. Non innocenti e buoni, bravi, non è questo. Il bambino è il minimo, il non interpellato, il non importante, all’epoca il non cercato. Su questo si possono innestare delle considerazioni di psicologia infantile: il bambino è diretto, sa chiedere, sa ricevere… ma c’è secondo me qualcos’altro. Il mese scorso abbiamo portato Micol al cinema, per la prima volta, con tre suoi compagni e le famiglie, e dopo il cinema abbiamo cenato tutti insieme, poi abbiamo preso l’autobus e siamo tornati a casa. E da quando siamo andati via Micol non ha fatto altro che piangere e disperarsi. Perché? E lei ce l’ha detto: “Perché è finito”. Ecco, più di noi, più di me, i bambini sanno che la gioia non deve passare. La gioia deve restare. Sempre. Non è dovuta, non è scontata, ma quando c’è, non deve finire, deve durare per sempre. Ed è giusto così! Noi insegniamo ai bambini a non piangere quando una grande gioia finisce, mentre dovremo imparare da loro a piangere quando una grande gioia finisce e a desiderare una gioia ancora più grande, la gioia del regno dei cieli che non passa. Questo è quanto il sottoscritto, addottorato in teologia all’università di Zurigo magna cum laude, vincitore della Van Halsema Fellowship del Calvin Theological Seminary, autore di numerose pubblicazioni, ha imparato dalla propria figlia di quattro anni sul regno dei cieli. Ho imparato che cosa significa vivere ricevendo una gioia e, avendola sperimentata, credere e voler credere che non finisca, lottare per una gioia che non finisca.
Infine, che cosa non fare. Non scandalizzare i piccoli, non umiliarli, non spazzarli via… perché a quel punto sarai spazzato via tu. Non esporli al male. Non rassegnarli a un ambiente in cui la sopraffazione è abituale e la guerra è normale. Non trascurarli, non renderteli invisibili, non perderli, perché lo sguardo di un bambino deluso è micidiale, è mortale. Lo sguardo di un bambino veramente e profondamente deluso ti uccide. “Voltati, Eugenio” è un film di Luigi Comencini, un regista credente, convertito valdese, che sapeva dire tutto con i volti dei bambini. Il film parla di una giovane coppia sessantottina figlia dei fiori con un figlio, Eugenio, di circa dieci anni. La coppia scoppia, con varie vicende, il ragazzino viene trattato da pacco postale, e alla fine, mentre parlano di metterlo in un collegio, i “grandi” si commuovono teneramente per un vitellino appena nato – di solito le persone molto cattive sono anche molto sentimentali – ed Eugenio li guarda con due occhi che parlano e che dicono che il vero abbandonato non è lui, ma sono loro. Sono “i grandi” che hanno abbandonato la realtà, la responsabilità, l’umanità. Che nessuno di noi sia guardato da un bambino con quello sguardo, con quegli occhi, perché sarebbe meglio attaccarsi una pietra al collo e buttarsi nel Tevere. Un bambino vuole essere ascoltato; il Signore Gesù Cristo vuole essere ascoltato. Se non lo fai, approfittando del fatto che nel primo caso sei “grande”, nel secondo caso ti credi grande, questo sarà la tua rovina.
Eccoci ora al mezzo presepe vivente di Capernaum (e dico mezzo perché ci sono solo il bambino che fa Gesù e i discepoli che fanno l’asino), al primo presepe fatto da Gesù stesso, che mette un bambino al centro della scena e che dice che chi si farà piccolo come questo bambino, sarà lui il più grande nel regno dei cieli. E chiunque riceve un bambino come questo nel nome di Gesù, riceve Gesù stesso. Ecco un presepe biblico, fatto da Gesù in persona, 1193 anni prima del presepe di Greccio, il primo presepe, fatto da Francesco d’Assisi in modo da rendere ogni abitazione, ogni stalla, ogni frazione di paese degna di contemplare la nascita di Gesù, e con il solo Gesù al centro, addirittura senza Maria e Giuseppe, come vediamo dall’affresco di Giotto del presepe francescano… mentre in tutta Europa si predicava l’indulgenza plenaria per chi andava a combattere in Terrasanta. Ma perché vai ad ammazzare e a farti ammazzare per i luoghi santi di Gesù se Gesù nato per te può essere contemplato anche nella capanna del povero contadino? Non trovi Gesù nella gloria della guerra, ma nell’umiltà di qualsiasi abitazione. Questo era il messaggio del presepe di Greccio. E ora, davanti all’annuncio del Vangelo in cui il bambino di Capernaum è al centro, rischiamo di annunciarlo e di ascoltarlo con il posto d’onore vuoto. È come se leggessimo la ricetta davanti al piatto vuoto. Perché non ci sono i bambini al culto? “Perché non capiscono tutto…” Risposta falsa e presuntuosa. Perché vi assicuro che neanch’io capisco tutto, neanch’io capisco tutta la Bibbia e difatti continuo a studiare teologia da trentacinque anni. Se tu capisci tutto, prego! Ti cedo subito il pulpito che mi avete affidato. Se qui c’è qualcuno che ha capito tutto, penderemo dalle sue labbra! “Una volta c’era la Scuola domenicale…” e teneva i bambini lontani dal culto. A parte la festa dell’albero, Natale e Pasqua, per molti protestanti il primo culto cui hanno partecipato era quello della loro Confermazione. E parallelamente, oggi un’overdose di impegni formativi e sportivi tiene i bambini lontani dalla vita della chiesa, e noi tentiamo faticosamente e inutilmente di raggiungerli, ma sempre con la spocchia di pensare che loro hanno bisogno di noi, mentre il Vangelo di oggi ci dice che noi abbiamo un reale, un vero, un disperato bisogno di loro per imparare a credere. Dov’è il bambino come il quale dobbiamo necessariamente diventare per entrare nel regno dei cieli? Dov’è il bambino come il quale dobbiamo farci piccoli, per essere grandi nel regno dei cieli? Dov’è il bambino che riceviamo nel nome di Gesù, e con lui riceviamo Gesù stesso? Dov’è il bambino che piange quando una bella cosa, che dà gioia, finisce, e mi insegna a piangere con lui e a cercare un regno in cui la gioia non finisce mai? Dov’è il bambino che ci insegna che Dio si fa umano e viene al mondo bambino e che se togliamo di mezzo il bambino, togliamo di mezzo la realtà dell’umanità di Dio e che fuori dalla realtà l’umanità di Dio diventa irreale, diventa teoria, diventa ideologia, diventa etica… e quindi il Vangelo diventa legge, il “Dio ha fatto perché tu possa” diventa “Tu devi perché Dio sia” e a questo punto meglio sparire dalla circolazione e lasciare che altri scoprano quel Vangelo di Dio donatoci incarnato nella nascita di Gesù e da noi irrealizzato, teorizzato, disincarnato, eticizzato, e quindi tradito.
“Se non cambiate…” dice il Signore Gesù Cristo. Possiamo ancora farlo. Possiamo ancora diventare bambini, possiamo ancora esigere che la nostra gioia non finisca, e farlo a pieni polmoni. Possiamo non aspettare che i nostri piccoli diventino “grandi” senza intanto diventare piccoli noi. Possiamo farlo solo perché un Grande più grande di noi l’ha già fatto: Dio onnipotente è nato, è diventato bambino per noi. Allora possiamo veramente farlo. Amen!

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