Castorp – Else

Ho ripreso una lettura interrotta per mesi, e ho portato a compimento queste pagine de “La Montagna Incantata”.

Nel mio monologo interiore che non voleva tacere durante la lettura, che si difendeva con il puerile strategemma della pronuncia a fior di labbra di ogni sillaba e parola, il monologo di Castorp (perchè di questo si tratta, nonostante avvenga per massima parte nella narrazione in terza persona del narratore che tutto narra tutto conoscendo) mi rimbalzava nella memoria al monologo di Else. Castorp in una situazione banale di ineluttabilità autoinflitta trova gli echi di un sogno di solarità mediterranea archetipica e mitologica per recuperare le forze e trarsi fuori dalla tormenta di neve in cui si stava annichilendo, Else invece  arriva a soccombere eroicamente per la banalità di una questione familiare legata a mancanza di quattrini e a convenzioni sociali stringenti da cui lei non vuol farsi stritolare, preferendo morire. Due vie che definiscono il maschile e il femminile, che possono indifferentemente attagliarsi a ogni donna o uomo, sia chiaro, ma che si stagliano come vie chiare e nette di diverse identità psicologiche.

Alla fine, Else muore, e Castorp mangia come un lupo in trattoria, ricordando solo a tratti e confusamente i suoi pensieri e il suo sogno in balia della tormenta.

La vita vive.

P.S. Potrei dire delle meraviglie stilististiche e di linguaggio, anche delle  traduzioni, e delle caratteristiche e delle differenze e affinità delle scelte narrative e letterarie in queste due mirabili creazioni, ma non m’importa di farlo.

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