Un insegnante scrive nelle menti e nei cuori degli alunni, e non sa mai se e quando ci saranno frutti che per lo più non coglierà. Ma continua a farlo. Una forma di pazzia? o una forma di narcisismo? o una forma di amore?
Un artista da palcoscenico (musicista, attore, danzatore…) scrive nel nulla, lascia vibrazioni e segni nell’aria che svaniscono nell’istante. Ne restano le emozioni: di un istante, di una notte, di una vita. Niente di realistico. Tutto di imprendibile. L’esperienza dell’impermanenza del bello e della vita.
Uno scrittore (di prosa, di poesia, di teatro, di saggi, di musica, di tutto ciò che è nero su bianco) scrive perchè arrivi a menti e cuori, perchè viva un istante nell’aria, perchè entri nelle vite degli altri. Quel che scrive puó esser letto in infiniti tempi e luoghi, è una traccia, un’orma concreta, un oggetto, inerte in se’, ma se incontra lettori e interpreti si attiva nella sua dimensione iperurania.
Ecco.
Insegno da 45 anni.
Suono in pubblico da 45 anni.
Leggo in pubblico da 12 anni.
Sono ormai 30 anni, ma potrei dire 40, che lascio parole nero su bianco, e mi appresto a lasciare altro tipo di nero su bianco.
Il triviale del quotidiano e delle debolezze è come la cacca di un lattante, inevitabile nella sua crescita, ma da buttare e ripulire, sola e pura zavorra, di cui liberarsi per volare in alto. Chi della bellezza della crescita vede solo gli escrementi, evidentemente ha sensibilità solo per quelli.
Tracce, orme concrete di un passaggio sensibile al bello.