suite

  • 1
    Ouverture alla francese
    5/4
    60=1/4
    Ritmo puntato in levare
    Accordi pieni e arpeggi
    Note di attrazione:
    Mi bemolle
    Solenne e formale, una sorta di sarcastica celebrazione di grandezza
  • 2
    7/4
    90=1/4
    Ostinato in grave in valori di
    1/4-1/4-1/4-2/8-1/4-2/8-1/4
    pp
    re-sol-la-mibem/si-fa-do/soldiesis-dodiesis
    Nello svolgimento il basso si traspone in altre tonalità, fa un percorso cromatico ascendente da RE a SOl Diesis
    Inquieto
    Sommesso
    Lavico
    Una pressione regolare e costante, senza cadute e senza scoppi
  • 3
    13/8
    Recitativo a voce sola
    Misurato e preciso
    Quarta aumentata come chiave
    Struggente come un monologo tragico, consapevole di essere al centro della scena, quindi rigoroso, e vero.
  • 4
    Senza scansione temporale
    Accordi a durata libera e variabile
    Base di sovrapposizioni di terze maggiori anche condensate (cluster costruiti)
    Grande varietà dinamica a flussi, con interpunzioni a contrasto
    Note di attrazione:
    sol grave
    mi bem medio
    Fa diesis sovracuto
    La vita essenziale
  • 5
    5/8 5/8=60
    Moto perpetuo senza accordi. Moduli secondo la serie di Fibonacci: 1; 1; 2; 3; 5; 8; 13; 21; 34; 55; 89; 144; …
    Mani in parallelo a distanza di ottava
    Finisce in crescendo e sospensione
    Come cadendo in un burrone o in una cascata
    Thelma e Louise
    Cascate Iguazù
    Con esaltazione

Quello che ho cercato é stato un pianoforte in cui non esista piú il concetto stesso di “accompagnamento”

Da quando lo stile galante ha inventato il basso albertino che accompagna una melodia, non necessariamente eseguita da un altro strumento melodico, ma eseguita dalla mano destra del pianista stesso (nel XVIII secolo galante e proto-classico le sonate erano per pianoforte con achompagnamento di violino, che raddoppiava i temi della mano destra del pianoforte) il pianoforte ha impregnato la sua identità specifica proprio del saper accompagnare.

Questo ha generato uno standard per cui gli altri strumentisti, anche quando molto colti e avveduti, che suonino uno strumento melodico, vedono nel pianoforte un sostegno e un supporto discreto, magari anche un iniettore di energia propulsiva, ma che sostanzialmente debba stare al suo posto a rendersi utile senza far perder tempo a chi, loro, i melodici, davvero fanno la musica. Non parliamo della dinamica che si instaura poi coi cantanti, che eleva tutto questo all’ennesima potenza…  ma i violini, che tanto al canto sono debitori, non sono poi secondi.

Questa dinamica è stata introiettata dal grande pianismo solista romantico, che ha sempre inseguito la possibilità di cantare, e, nei milioni di note con cui ha riempito le sue evoluzioni di scrittura e di virtuosismo, è sempre peró il canto che deve stagliarsi su tutto, e commuovere.

Non era così in epoca barocca, nè nel novecento storico, e a tratti anche in certi momenti del grande arco romantico.

Ho voluto quindi andare a recuperare modi di scrittura per il pianoforte che, eliminando completamente il ruolo di accompagnamento, mettesero in atto quella che per me é la vera anima del mio strumento, cosí grande e solido e insieme infinitamente colorato e liquido: la capacitá di strutturazione architettonica attraverso contrappunto armonia ritmo; la capacitá di evanescenza caleidoscopica del suono; la capacitá di trasformare il movimento in flusso estenunante o inarrestabile.

Il ruolo declamatorio e cantante puó assolutamente essere assolto dal pianoforte, ma ho scelto che fosse preso di petto in modo tragicamente assoluto (questo accade nel terzo movimento di questa suite)  oppure che emergesse come inevitabile esito di un percorso strutturale che trova la sua meta in un estremo gesto melodico. Il canto, ultimo anelito del pianoforte ma a lui scientificamente negato (visto che, a rigore, il suono appena prodotto inizia subito il suo decadimento, e legare due note per farne melodia é operazione che ha a che fare con l’intenzione ma non con la realtá acustica, e quindi con una dimensione che potremmo dire di interazione “magica” o di ipnosi personale e collettiva) resta il limite e il desiderio, e infine il muro contro cui infrangersi.

Ma chi, amando la musica, non desidera cantare?

Riferimenti:

Couperin, Beethoven, Bartók, Liszt, Strawinsky, Berg, Chopin.

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