“A che serve che io abbia fatto luce su tutti i piani? A che mi serve, tutta la mia conoscenza, la mia comprensione? A nulla… Meno che nulla. Ah! Come vorrei che chetutto quel che è successo in queste ultime settimane non fosse altro che un brutto sogno.Le giuro, Georg, darei il mio avvenire, e Dio sa quante altre cose, per far sì che non fosseaccaduto nulla: E se fosse così… probabilmente sarei infelice, come lo sono ora.”Il suo viso si alterò, come se fosse sul punto di urlare. Ma subito dopo si ricompose, rigido,pallido, come spento.(Arthur Schnitzler, “Verso la libertà”)
- Egon Kornauth (1891-1959) – 3 Klavierstücke op.23:
Präludium, Improvisation, Walzer (1920) - Joseph Marx (1882-1964) – Albumblatt (1916)
- Ernst von Dohnanyi (1877-1960) – Valse Impromptu op. 23 n. 2 (1913)
- Arnold Schönberg (1874-1951) – 6 kleine Klavierstücke op. 19 (1911)
(per la morte di Gustav Mahler) - Erich Wolfgang Korngold (1897-1957) – Sonata op. 2 : Scherzo-trio (1910)
- Alban Berg (1885-1935) – Sonata op. 1 (1907-11)
Fra dolce epigonismo e disincanto tragico scorre una corrente di energia
creativa che sembra indugiare o schiantarsi, a seconda dei momenti, nel
ricordo di un tempo passato e nell’annegamento in un presente definitivo.
In musica questo scambio sembra farsi particolarmente palese: proprio l’arte
più immateriale, quella dei suoni, pare avere la forza di rendere fisicamente
palpitanti la nostalgia come lo sconcerto, il vagheggiamento onirico come
l’urlo incontenibile, lo slancio appassionato come il ripiegamento frustrato, il
cenno galante come il ghigno sarcastico.
Questo programma procede a ritroso nel tempo partendo con una
composizione del 1920, quando il vento della Grande Guerra è già passato
facendo pulizia delle corone imperiali europee, e ci presenta un compositore,
Egon Kornauth (1891-1959) ben consapevole della sua identità di epigono
di un linguaggio tardo-romantico da cui non sapeva e non voleva staccarsi.
Compositore prolifico, pianista e direttore d’orchestra che dopo la Grande
Guerra ebbe una ricca carriera in Asia e Sud America, nella Vienna occupata
dai nazisti collaborò col regime, ma, similmente a quanto fece Richard
Strauss in Germania, dal suo ruolo prominente nella Reichsmusikkammer si
adoperò per proteggere il suo ex insegnante Adler e altri musicisti ebrei.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale fu a lungo direttore del Mozarteum di
Salisburgo. Come per assurdo capita a certi irriducibili romantici, uomo
sanguigno e buon conoscitore della vita concreta, seppe dunque navigare in
acque sicure con una certa audacia pur nelle derive della storia, ma nella sua
musica troviamo una sensualità e un gusto armonico sorprendenti che vanno
ben oltre un banale cromatismo postwagneriano di maniera, allargando la
sua gamma di colori verso orizzonti emotivi soffusi persino dai fumi del jazz.
A seguire una composizione del 1916 di Joseph Marx (1882-1964), pianista
prodigio da bambino, poi dedito a profondi studi di filosofia e arte, direttore
dal 1922 dell’Accademia Musicale di Vienna. Intensa la sua attività di
saggista e critico musicale, e si impegnò con energia per la rinascita della vita
musicale viennese nel secondo dopoguerra, diventando una paterna figura di
riferimento per tutto il mondo della cultura, che lo portò ad essere nominato
Ambasciatore presso l’UNESCO e persino candidato come Presidente della
Repubblica Austriaca. Collaborò col governo turco di Ataturk per la
fondazione del Conservatorio dell’Ankara. Cultore della tradizione
contrappuntistica e quindi molto affine a Reger, nutriva in più suggestioni
simboliste ed edoniste che lo avvicinavano a Debussy e Scrjabin.
Viene poi un piccolo Valzer-Improvviso del 1913 di Ernst von Dohnanyi
(1877-1960), un grande pianista e didatta ungherese che, dopo aver diretto a
più riprese il Conservatorio di Budapest, negli Stati Uniti d’America diede la
sua impronta a generazioni di pianisti creando una tradizione specifica
fondata direttamente nel virtuosismo Lisztiano e nello spirito viennese e
soprattutto radicata nello studio di Beethoven. Suoi allievi furono Géza Anda,
Ervin Nyíregyházi, Edward Kilenyi, Annie Fischer, Balint Vazsonyi, Georges
Cziffra, Sir Georg Solti.
Ma se finora siamo rimasti in un flusso di dolce nostalgia di un tempo ormai
svanito, con i sei aforismi espressionisti di Arnold Schönberg (1874-1951)
scritti per la morte di Gustav Mahler ci troviamo di fronte all’implosione: la
nuova musica dodecafonica deve ancora esser pensata, ma intanto il
linguaggio tardo-romantico mostra di esser arrivato qui alla sua estrema
consunzione, alla sua incapacità di andar oltre l’accenno breve ma di enorme
intensità compressa, che stride ancor più al pensiero che tale estrema
concisione voglia celebrare Mahler, il grande sinfonista magniloquente dalle
composizioni infinite e imponenti quanto tragiche e vitali allo stesso tempo.
Il segno della crisi è qui netto e secco: meglio lo si comprende proprio in
diretto accostamento con quel mondo, testimoniato dalle composizioni che
qui sono presentate subito prima, che non riusciva a guardare che al passato.
In programma poi lo Scherzo dalla Sonata per pianoforte di Erich Wolfgang
Korngold (1897-1957), precoce compositore di cui Mahler disse “è un genio
della musica”. Figlio dell’influente critico musicale Julius Korngold, allievo di
Zemlinsky (maestro e amico di Schönberg, amante di Alma Mahler) a soli 23
anni compose un’opera straordinaria, Die Tote Stadt, il cui libretto fu scritto da
lui stesso in collaborazione con suo padre, su un tema estremamente
complesso e torbido, dove un uxoricidio e una nuova storia d’amore sono
sospesi r intrecciati nella confusione tra realtà e mondo onirico, e dove le
pulsioni erotiche ed emotive sono espresse in modo travolgente e senza
censure. Con i venti della storia Korngold se ne andò a Hollywood lavorando
per l’industria del cinema e vincendo per ben due volte l’Oscar per la migliore
musica da film, nel 1937 e nel 1939. Nello scherzo presentato in questo
programma abbiamo una sorta di valzer sghembo, deformato nel prisma del
grottesco, con un trio che vorrebbe ricordare una dolcezza non più attuale, e
prontamente smentita.
Infine, la densa Sonata di Alban Berg (1885-1935), allievo e amico di
Schönberg, qui alla sua opera 1. Wozzek e Lulu devono ancora arrivare, ma
già se ne sente la forza drammatica. Si apre con un breve tema lirico che
parte da una dissonanza, sia melodica che armonica, (sembra davvero
ricordare il primo dei Dichterliebe di Schumann-Heine, Im wunderschönen
Monat Mai) per andare presto a risolvere in SI minore, accordo con cui si
chiude la composizione, ma questo SI minore di inizio e fine è come un
punto in cui la peregrinazione armonica e motivica cerca una propria
evoluzione vagando nella notte in preda a pensiero oscuri (come accade alla
protagonista di Erwartung di Schönberg). Così nel tema anacrusico di due
sedicesimi-due ottavi-terzina di ottavi-ottavo, che però appare come uno
slancio destinato a frustrazione e condannato al ritorno, esattamente come
non riesce ad uscire da se stesso neanche il tema tetico di sestina di
semicrome-croma puntata e sedicesimo-due ottavi, che si avvolge su se
stesso. Il bambino che resta da solo e straniato nel finale di Wozzek, dopo
che tutto ha raggiunto tragico compimento, o l’assenza dell’imbonitore del
circo che aveva aperto la rappresentazione dello ”Spirito della Terra” Lulu, di
cui vorremmo infine la consolazione, come a dirci “ma davvero ci avete
creduto? Ma no, era tutto finto!”, lasciandoci invece nella tragedia senza
uscita, sono in questa sonata idealmente anticipati: la consonanza di questo
SI minore conclusivo non porta alcuna pace, ma segna l’affermazione del
vuoto.
Questo programma è composto come un sogno complicato dove succedono
tante cose diverse, a costruzione di un mondo emotivo incoerente ma
unificato in una mente sola, quella di un’immaginaria personificazione di
Vienna stessa. Quella Vienna dove nel 1900 Sigmund Freud viveva e
lavorava, dove aveva pubblicato nel 1900 “l’Interpretazione dei Sogni”,
ponendo un punto definitivo nella cultura occidentale, e dove il suo gemello
ideale, mai incontrato personalmente, Arthur Schnitzler faceva il medico, a
tempo perso improvvisava al pianoforte (di quest’abitudine diffusa
all’improvvisazione pianistica troviamo un esempio nel secondo dei pezzi di
Kornauth) e scriveva racconti romanzi drammi, descrivendo un modo di
vivere leggero, amorale, passionale, elegante, triviale, cinico, idealista…
insomma: quel mondo indefinibile, seppur descritto in tanti libri, abitato da
uomini senza qualità come quello spietatamente analizzato da Robert Musil
nel suo grande romanzo; da filosofi freddi e razionali come Ludwig
Wittgenstein; da soloni caustici e impietosi come Karl Kraus e da signori colti
ed esteti raffinatissimi come Hugo von Hoffmansthal, creatore dei personaggi
e delle storie dei melodrammi di Richard Strauss; quel mondo che si divertiva
con le operette di Franz Lehar e passava le serate nei circoli e nei caffè dove
si intrecciavano amori clandestini con noncuranza e alla luce del sole
dimenticando tutto… un mondo che stava per crollare, e che è poi crollato
rovinosamente in un bagno di sangue, ma che ancora non smette di
sopravvivere, anzi, di rinascere, fermando il tempo nel nostro presente così
distante.
Come in un sogno.
Viviamo questo concerto come un sogno, e non interrompiamolo con rumori
di sorta: se vorrete, potrete applaudire a conclusione.
Alessandro Tenaglia, pianista e scrittore, è docente di Musica da Camera e di
Letteratura e Drammaturgia Musicale presso il Conservatorio “Jacopo
Tomadini” di Udine.

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