
Ma ridono davvero? Chissà, comunque non meno e non diversamente dai lemmi della Nuova Enciclopedia, in cui si dibatte l’empatia dissimulata del giovane Nivasio Dolcemare rivoluzionario soggiogato dai bagliori accecanti del Partenone nella sua scoperta adolescenziale del mondo, e quindi della musica e delle lettere.
Paul Valery viene citato in questo “librino”, come l’Autore stesso l’ha chiamato, e va ora citato come faro: “ogni storia letteraria della fine del XIX secolo che non parlerà di musica sará una storia inutile; una storia peggio che incompleta: inesatta; peggio che inesatta, inintelligibile.”
E si: qui sta il nucleo, mi pare, di queste pagine, e la loro condanna. Perchè al giorno d’oggi davvero inintelligibile resta un mondo dove le arti musicali e letterarie sono in osmosi e oltre che tra loro perfino con la filosofia. Mancano le competenze culturali, chi ha l’una non ha l’altre, e con questo l’Autore denuncia la definitiva incompetenza. Del mondo.
Questo libro non è per incompetenti, e lo dice con inaudita veemenza (!) nella quarta di copertina “Il lettore sa bene che solo il XIX secolo poteva fabbricare simili combinazioni”, e quasi a burla, per l’incompetente, tra gli Autori musicali, da ultimo, propone un pezzo su Satie, che ha piú a che fare con le avanguardie novecentesche. Anche qui, implicito, a chi sappia cogliere, il rimando alla discendenza di ogni modernismo iconoclasta e sperimentale dallo spirito di Heine e dei suoi compari.
Libro curato e voluto in ogni particolare, incluso il dandysmo di una citazione fatta apparentemente come evocazione libera, “per utilizzare l’espressione di non ricordo piú chi”, in un contesto non di parole, ma fin di virgole tutte definite e studiate con cura certosina.
Lorenzo Leone scrive un libro irrinunciabile per un lettore che sappia davvero qualcosa di musica, di letteratura e di filosofia. Scusate l’arroganza, io sono tra i pochi fortunati, ma ciò non mi consola dal fatto che le due mani saranno troppe per contare gli altri possibili lettori. Però anche i “semplici” letterati potranno godere di una prosa al quadrato, dove la posa fa parte del nucleo significante, e che si esprime nel modo piú antiromantico possibile (ma anche di questo bisogna poter essere avveduti) proprio sul nucleo di sofferenza infinita di cui ridon queste carte, che sta nella perdita di un linguaggio primigenio che possa parlare cosí tra geni primordiali caduti nell’oggi e ridotti a curarsi dei propri bicipiti scultorei e orgogliosi come ultima traccia, oltre l’apparenza fin troppo banale, della stirpe di Titani dell’intelletto in un mondo estraneo e muto.