Michela Murgia è volata via. Si sapeva che sarebbe successo, io non pensavo sarebbe successo cosí presto. Ci ha lasciato un’infinità di sorrisi e di messaggi di felicitá nell’impegno, riuscito, di costruirsi una vita degna e testimoniante dei suoi valori, valori alti aperti illuminanti.
Oggi leggo la riproposta di una critica di Walter Siti ai suoi ultimi racconti, in cui Siti dice che sono di qualità diseguale perchè la sua (di Murgia) esigenza di controllo e di continuo insegnamento schiacciano la sua prova nella letteratura d’invenzione.
Recentissime le polemiche al Premio Strega assegnato a Ada D’Adamo: non è vera letteratura, il premio è stato dato a chi è morto nel tempo giusto per l’assegnazione pietistica, solo dolore personale esibito.
Un altro caso, senza che abbia dovuto morire, Roberto Saviano e il suo impegno morale e politico come scrittore. O giornalista? o sceneggiatore? ma la sua è letteratura?
Partendo dal postulato che la letteratura è nome plurale e che infinite e in parte, solo in parte, codificate sono le sue partizioni, difendo la letteratura morale di questi tre esempi, come di molti altri, che hanno lunghissima antica fulgida tradizione.
Certo, bisogna saperla fare la letteratura morale, perchè non si riduca a lezioncina gratuita. Bisogna persino testimoniarla esistenzialmente. Ci vuole vera adesione, ci vuole verità palpabile del gesto e del mondo dietro al gesto.
Ma quello che mi rende ottimista, incredibilmente, è che la gente ne senta il richiamo, anche con l’opposizione: ha ragione Murgia quando dice di esser stata utile anche a chi la odia, perchè li ha aiutati a definirsi.
In un mondo cosí evanescente e insieme costruito di fumi e violenze di autoaffermazione scatenantesi per perdita di ogni orientamento, che si registri la presenza e il successo di una letteratura morale indica che l’esigenza di pensare analizzare sentire conoscere, tutto insieme: di vivere meglio da soli e nella società, non è morta, per niente. La letteratura è viva. Michela Murgia è viva.