Arrivo a Udine in treno, e poi la consueta passeggiata a passo spedito verso il consevatorio per via Aquileia. È giugno, fa caldo, e vado sul lato all’ombra. Da lontano vedo sul mio marciapiede un paio di uomini sui cinquanta che parlano, verosimilmente di faccende di lavoro, sembrano fare considerazioni, sono assorti. Intanto mi avvicino, mentre penso se mai si sposteranno un attimo per lasciarmi passare, se mi vedranno, o se dovrò aggirarli scendendo dal marciapiede.
Quando sono ormai a pochi metri da loro, un’epifania.
Da un portone proprio tra me e i due uomini esce una donna. Bella. Bellissima. Minuta, capelli scuri lunghi e morbidi, occhiali da sole discreti, abbigliamento semplice e non appariscente, ma che modella meravigliosamente la sua figura a clessidra perfetta. Carnagione appena un po’ abbronzata, rossetto, un’andatura naturale e decisa, andrà a lavorare anche lei. Esce dal portone e viene nella mia direzione. Per pochi secondi mi perdo a guardarla, e in un attimo la incrocio, e mi volto a riguardarla. Un attimo. Troppo bella. Anche un ottimo profumo. Torno a guardare avanti e i due uomini, tanto assorti nella loro conversazione fino a un attimo prima, sono li a seguirla con lo sguardo, muti, anzi, ammutoliti. Con quello sguardo tra l’ebete e il porco che ogni tanto tradisce il fatto che comunque siamo vivi, cazzo!
Oramai tra di noi solo un passo…
Mi fanno spazio mentre io sorrido e loro si rivolgono a me con quello sguardo da ombra al bar, sornione e abituato al desiderio frustrato, cosí è la vita, che probabilmente ho anche io, e quindi è palese, nel nanosecondo, che siamo amici.
Al mio passaggio quello a sinistra dice sorridendo a me, che allargo leggermente le mie braccia a intendere “portiamo pazienza”: “eh non c’è niente da fare!”