Nell’agosto 2022 ho recensito per un blog nel frattempo scomparso dal web (purtroppo! era Cabaret Bisanzio di Lorenzo Leone) il libro di Marina Jarre “I padri lontani”, appena ripubblicato da Bompiani sotto la cura editoriale di Marta Barone.
Ripubblico questo pezzo in onore di questa grande scrittrice nel ricordare i 100 anni della sua nascita.
Marina Jarre I padri lontani Bompiani 2021
Marta Barone, curatrice di questa nuova edizione di questo libro irrinunciabile, apre il suo saggio introduttivo, dal titolo “La caparbia distanza”, con la seguente frase: “Marina Jarre è stata un grande e protratto mistero”.
Tutto è in questo titolo e in questo incipit. Ma sarebbe una perdita non venire a scoprire i significati di queste parole nel tessuto narrativo autobiografico di questo libro.
Autobiografia netta: niente di niente sulla problematica legata all’autofiction.
Una vita che ha oggettivamente ragioni di interesse per essere narrata.
Avrebbe potuto essere romanzata cogliendo diverse occasioni succosissime, credo che qualunque scrittore non avrebbe davvero resistito, e sicuramente il successo di mercato sarebbe stato a portata di mano. Però Marina Jarre ha seguito un’altra strada, per cui questo libro è infine irrinunciabile per un lettore che sappia cosa sia “leggere”.
Mai una concessione nè un’indulgenza. Una spietatezza sulla cresta del confronto diretto con Dio, che in questo libro assume una connotazione profondamente laica: tra cultura di fede evangelica valdese radicata di taglio identitario, e un senso dell’autocoscienza che non può proprio concepire di uscire da sè per farsi consolare in alcun modo e da alcuno.
Non voglio di proposito dare i luoghi, davvero inconsueti, di una vita vissuta in una dimensione totalmente europea e col senso del confine con l’Altro all’interno del quotidiano familiare.
Tutto va scoperto.
È un libro assai poco italiano, ma non solo perchè non vi si rilevino quei minimi connotati di identificazione, appunto, italiana, bensí perchè i temi e le evoluzioni sono davvero altri rispetto ad una sorta di koinè culturale italiana, generica e falsa, ma comunque di fatto esistente. Mancano le categorie di base perchè un lettore italiano possa trovare sè stesso rispecchiato in ciò che viene leggendo in questo libro, e nel modo in cui l’autrice asciuga e prosciuga il racconto, con aperture improvvise e lancinanti alla dimensione emozionale, che pare proprio ogni tanto traboccare a gocce da un boccale costantemente tenuto sul filo del troppo pieno, e quelle gocce emotive, che cadono quando meno ce lo si aspetta, prendono le sembianze di un senso di perdita del sè, molto piú che di un’effusione, pur umana; di un’emozione che comunque si sente ribollire ovunque, pur se costantemente distillata; gocce che si infrangono, ineluttabili, perdute.
Marina Jarre ci parla di sè, di sua madre, di sua sorella, di sua figlia. È un percorso matrilineare netto e assoluto.
Eppure, il titolo riguarda “I padri lontani”, e con ragione.
Non si tratta di un libro a tema sulle donne, perchè la sua pregnanza è ben maggiore di un qualunque ottimo libro di una donna sulle donne. Mi è parso, leggendolo, di entrare in un modo di essere donne che non può essere ricondotto a nulla che io abbia letto in precedenza, o in cui in qualche maniera mi sia imbattuto. Sicuramente si tratta di un libro che le donne, tutte, dovrebbero leggere, ma con questo ho posto un inutile limite.
La Storia stessa si riverbera nelle storie di queste donne in modalità talmente dirette e ineludibili, e l’indagine su di sè è talmente radicale, che ogni lettore trova di certo ragioni, se non di rispecchiamento, sicuramente di confronto.
La lingua: strettamente connaturata al modo di affrontare i temi, risulta asciugata, essenziale; eppure, a tratti, con pieghe subitanee di retorica, che potrebbero apparire incongrue, soprattutto perché pare programmatico il rifiuto di ogni idea di “bello scrivere”, alla ricerca di una semplicitá come esito di continui tagli, continue riduzioni del superfluo.
Ma infine, perchè vi scrivo di questo libro? Perchè, iniziatolo, non ho potuto lasciarlo, e non per seduzione, ma per totale antiseduzione: Marina Jarre DEVE dire quel che dice, e lo deve dire con pulizia, a tutti i livelli.
La pulizia profonda è frutto di grande, immenso lavoro, e non si trova a buon mercato: non è simpatica, non concede ombre in cui nascondersi.
Non lo legga un lettore sentimentale, estetizzante, arguto, brillante. Questo libro ha bisogno di lettori che lavorino alla pulizia, in ogni senso. Una lettura tanto rara da essere unica, e irrinunciabile.


